13 Ottobre 2021
Eppure si riparte. Causa Covid, molti temevano che le Chiese, svuotate, sarebbero rimaste tali. Che il fervore e il desiderio di fede si sarebbe spento anche per le urgenze economiche e sociali che la pandemia ha scatenato. E invece stiamo assistendo (pare) a un ritorno piccolo ma significativo. In prima battuta la ragione può essere trovata nel fatto che la gente ha bisogno di appartenenza, di ritrovarsi assieme, di risposte, di sentirsi guidata. O forse è perché c’è un rinnovato dinamismo ‘istituzionale’: migrazioni e accoglienza, famiglia, cambiamento climatico e cura dell’ambiente stanno a cuore ai cristiani. È un fatto che la ferita della pace e il rifiuto della guerra come metodo per risolvere i conflitti sono al centro del pontificato di Francesco. Forse è perché la gente si sta accorgendo di una Chiesa che cammina nel mondo e si occupa di problemi reali vivendo la fede alla luce della concretezza, con quel discernimento che il Papa invita sempre ad adottare rispetto a una morale e a un Catechismo che sono immutabili. Forse è così. Comunque, il fatto è che le Chiese non sono affatto vuote. Qualcuna magari sì, ma tante altre no. L’Italia riparte e non vale solo per il Pil. Vale anche per la Chiesa intesa come parrocchia, come movimento, come attività. La Chiesa non ci sta a fare la piccola comunità per chi è rimasto, ma getta ancora la rete. Tra mille limiti e mille difficoltà butta il cuore oltre l’ostacolo e mostra la sua vera anima popolare ed evangelica. Torna a farlo perché non sa fare altro.
E scopre di sapere andare persino oltre le proprie capacità così come la gente chiede. Numeri non ne so dare, ma racconti ne ho tanti. Durante il lockdown si è cercato di tenere duro grazie al web. I giochi dell’oratorio erano online, la tecnologia aiutava, ma è indubbio che durante i mesi chiusi in casa le prospettive apparivano modeste. Ora piano piano che ci si è vaccinati, usando Green pass e mascherine, stiamo recuperando tutti. Anzi, pare ci sia qualcuno in più. Ci sono classi di catechismo di dieci che ora sono di dodici, a volte anche di quindici. Magari è solo la novità del tornare a vivere in presenza però pare esserci un sentore incoraggiante. Stiamo imparando a coniugare la tecnologia del web con la presenza fisica. Ho presente il caso semplicissimo di una parrocchia che a motivo del coronavirus ha cessato di distribuire i libretti dei canti per la Messa sostituendoli con le parole sul muro tipo karaoke. Ci si è arrivati grazie al Covid ma è una soluzione che si manterrà perché è più facile per tutti cantare e partecipare in maniera più viva e comunitaria alla celebrazione. Se fede e intelligenza si uniscono magari ci scopriamo capaci di far più e meglio di quel che pensavamo. A patto di ricordare che il seme di cui parliamo è quello del Vangelo e non il nostro. Particolare non piccolo e non di secondaria importanza.
Quando leggiamo in Matteo la raccomandazione del Signore: «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38) il pensiero in genere va alle vocazioni: che sono poche e ce ne vorrebbero di più. Forse la lettura dovrebbe essere diversa. Questa ripartenza ecclesiale potrebbe essere anche una ripartenza dello spirito: riscoprire che noi siamo operai della messe del Signore e non della nostra messe. Quei numeri che paiono essere leggermente positivi sono alla comunione con il Padre, non al nostro gruppo. A Cristo non a noi. La messe è quella del Padre non quella della parrocchia. Le persone non vanno contate come per le elezioni a sindaco o per i like di una pagina Facebook. I ‘mi piace’ reali sono quelli che vengono da Dio non quelli che provengano da un conteggio autoreferenziale. Forse l’inaspettata fioritura che pare esserci nei nostri ambienti deriva da quel lavoro ‘al di dentro’ che siamo stati obbligati a fare quando eravamo ‘al chiuso’. Più per necessità che per scelta durante il lockdown abbiamo messo in pratica il Vangelo, siamo «entrati nella camera e, chiusa la porta, abbiamo pregato il Padre nel segreto» (Cfr Mt 6,6). Forse è questa la ricetta che non dobbiamo smarrire.
Mauro Leonardi, Avvenire venerdì 1 ottobre 2021