È salita al cielo la mattina del 3 agosto, a 86 anni, madre Elvira Petrozzi. Fondatrice della Comunità Cenacolo di Saluzzo, tra le ultime figure carismatiche legate al mondo delle dipendenze.
Per chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarla, almeno una volta, suor Elvira (o madre Elvira, come voleva essere chiamata) era sorriso. E nella disperazione delle migliaia di famiglie che sono salite distrutte sulla collina di Saluzzo, nel Cuneese, dove aveva piantato il suo vessillo di speranza nella Comunità Cenacolo, quel sorriso era il primo segno d’umanità dopo anni di solitudine e di vergogna. La dipendenza d’un figlio – o d’un fratello, una sorella, una giovane mamma – dalla droga e dall’alcol, l’abisso della criminalità e della prostituzione, sono ferite strazianti di cui nel nostro Paese nessuno o quasi si prende cura. E sono sempre più profonde, come appena qualche giorno fa hanno dimostrato anche i dati della Relazione al Parlamento. Suor Elvira (al secolo Rita Agnese Petrozzi) , che ha chiuso gli occhi ieri mattina a 86 anni dopo una lunga malattia, a tanto dolore non s’è arresa mai. Lo vedeva, da ragazza, sulle strade della sua Sora, nel Frusinate, dov’è nata e cresciuta. Lo ritrovò prima fuori Torino, dove entrò in convento tra le suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, poi a Saluzzo. Era una seconda “chiamata”, quella che sentiva da quei volti scavati, da quei corpi buttati sulle strade. E nel luglio del 1983, quando l’eroina mieteva centinaia di vittime nel nostro Paese e nascevano le prime comunità legate a figure carismatiche cattoliche e laiche, le offrirono le chiavi per una villa diroccata sistemata sulla collina sopra il paese, di fronte al Monviso. Dove è nato e cresciuto il Cenacolo. Qui pubblichiamo la lettera che abbiamo ricevuto dal vescovo di Saluzzo, monsignor Cristiano Bodo, che la ricorda.
Quando salì sulla collina “San Lorenzo” di Saluzzo, suor Elvira aveva già fatto, da tempo, la scelta del Vangelo. In cuore suo ardeva un fuoco; nulla di nitido aveva in mente; bruciava soltanto del desiderio di abbracciare il mondo, il mondo dei poveri, degli ultimi, dei derelitti, degli scartati, di coloro che sciupavano la vita perché non ne trovavano il senso. Su quella collina è divampato un incendio; da quella collina si è propagato nel mondo. Dalla fragilità di una donna abitata dal Vangelo è sgorgata una sorgente di Misericordia; dalla fede semplice di una “povera” è nata una comunità di credenti nella risurrezione; dalla preghiera ostinata di chi non si è mai arreso alle difficoltà è venuta la provvidenza!
Coraggiosa e serena, prudente e intelligente, convinta che la Verità nulla deve temere, di se stessa suor Elvira aveva una percezione reale; conosceva bene la sua fragilità e questa, paradossalmente, è stata la sua forza, lo spazio della Grazia e dell’Amore che salva. E dell’Amore Madre Elvira si è fidata: ciecamente; all’Amore ha consegnato se stessa: totalmente; l’Amore, quello fatto di gesti concreti e non di belle parole, ha raggiunto il mondo contagiandolo di bene. Di Madre Elvira si può dire che è stata paziente e generosa, non ha fatto valere le sue doti, non ha mai agito per orgoglio, ha rispettato tutti; ha dimenticato i torti. Coloro che l’hanno incontrata hanno sperimentato concretamente la Carità. La Bontà di Dio era in lei; l’Amore di Dio era in lei; la Misericordia di Dio era in lei.
Plasmata dallo Spirito, si è offerta al Padre, in unione con Cristo, per condividerne l’obbedienza, l’umiltà, la fortezza. Con l’aiuto della Grazia ha intessuto un’autentica vita di fede, speranza, carità; ha irrorato le sue giornate di lavoro, di preghiera, di accoglienza, portando a compimento ciò per cui il Signore l’aveva creata. Rinnovata di giorno in giorno dalla sua stessa offerta e rivestita di bellezza, ora l’accoglie il Paradiso, dove contempla per sempre Colui che qui in terra ha amato e servito.
La comunità del Cenacolo è l’eredità che Madre Elvira ci lascia; è un miracolo che vive, di cui ella stessa si è sempre stupita. Vive la comunità: tra lo stupore di molti ancora increduli, tra la gratitudine di tanti toccati dalla Grazia, tra la gioia vera di chi si sente salvato. La comunità del Cenacolo è un miracolo che vive; è un dono da custodire, da conservare, da trafficare! Benedetta sia questa chiesa povera, questa chiesa di peccatori salvati, lavati dal perdono e dalla misericordia. Benedetta sia questa chiesa dalla fede adamantina e della provvidenza. Benedetta sia questa chiesa che suda e lavora, che prega in ginocchio e canta. Benedetta sia questa chiesa della tenerezza, che non giudica, ma accoglie. Benedetta sia questa chiesa di bambini e di famiglie, di laici e di consacrati, di apostoli e di missionari. Benedetta sia questa Chiesa!
(Viviana Daloiso, Avvenire, 3 agosto 2023)